Canon in Cina fa entrare in ufficio solo i dipendenti che sorridono

Pubblichiamo da Il Corriere del 19.06.2021.

Vedere i dipendenti di un’azienda sorridere sul posto di lavoro può essere senz’altro indice di armonia e buon umore. Non così però se il sorriso, tutt’altro che spontaneo, viene utilizzato come pass biometrico per accedere ai diversi ambienti dell’ufficio. Come riporta il Financial Times, è quanto sta accadendo in Cina nella sede di Canon Information Technology, una sussidiaria del celebre marchio giapponese di macchine fotografiche (e molto altro), dove è stato installato un circuito di telecamere con tecnologia di «riconoscimento del sorriso» basato sull’intelligenza artificiale: chi non dà l’impressione di essere sempre felice e contento non ha libertà di movimento tra le stanze del quartier generale. Un sistema lanciato dalla stessa Canon lo scorso ottobre allo scopo di portare più allegria in era post pandemica, ma che non poteva non determinare esiti paradossali. Che si sia reduci da un rimprovero del capo, da un litigio con un collega o da qualsiasi altro evento spiacevole, occorre infatti non esimersi mai dallo sfoggiare un sorriso a trentadue denti davanti all’obiettivo. Poco importa se in maniera forzata. Ciò che conta è l’apparenza, pena la mancata apertura delle porte.

Come in «1984»
Se già a questo punto può essere più che lecito considerare quello di Canon Information Technology un ambiente di lavoro distopico, si consideri che in molte altre realtà cinesi la situazione è ancor più assimilabile al futuro immaginato da George Orwell in «1984». Sempre il Financial Times ha infatti riferito che non è ormai raro, nel Paese del Dragone, che le aziende monitorino costantemente i computer dei dipendenti per quantificarne la produttività, che utilizzino la videosorveglianza per misurare la lunghezza delle loro pause pranzo o che ne traccino addirittura i movimenti all’esterno degli uffici attraverso apposite app di geolocalizzazione. «I lavoratori oggi non vengono sostituiti dagli algoritmi e dall’intelligenza artificiale. Al contrario, la loro gestione viene in qualche modo accresciuta da queste tecnologie – ha dichiarato sull’argomento Nick Srnicek, docente di Digital Economy al King’s College di Londra –. Proprio le tecnologie stanno aumentando il ritmo delle persone che lavorano con le macchine anziché rallentarlo, proprio come accaduto durante la rivoluzione industriale nel diciottesimo secolo».

Problema anche occidentale
Nulla di cui stupirsi, si potrebbe pensare, essendo quello cinese un modello politico e socioeconomico autoritario che non si fa scrupoli nel comprimere la libertà dei cittadini. Invece basta pensare per esempio al consenso biometrico che gli autisti Amazon sono obbligati a firmare negli Usa (per non parlare dell’ipotesi del braccialetto elettronico nei magazzini) o ai molti software con cui è possibile spiare i dipendenti da remoto per comprendere come quello della sorveglianza a ciclo continuo in nome della produttività sia un problema anche occidentale. La stessa produttività che, facendo rima con profitto, può indurre a rinunciare scientemente perfino alle più basilari misure di sicurezza, come dimostrato in Italia dai tragici casi di Luana D’Orazio e della funivia del Mottarone. Ma le moderne tecnologie possono anche essere utilizzate per implementare sistemi di sorveglianza di massa basati sul riconoscimento facciale (da Rekognition a Clearview AI): un Far West che l’Unione Europea, su impulso di numerose associazioni sparse sul territorio comunitario, sembra ormai decisa a regolamentare. A quel punto sì che si avrà davvero motivo di sorridere.